platone

È molto probabile che nei tempi passati ci fosse stata una forte distinzione tra anima e corpo per dare una risoluzione esistenziale alla propria vita. Questo era in parte giustificato al fatto che la vita umana era molto di più in belia degli imprevisti, dipendeva dall’andamento delle stagioni, dalle regole della società e da molti altri fattori che portavano a vedere la vita come un vero e proprio dono dell’Universo.

 

Nella nostra società invece c’è la tendenza a non fare alcuna distinzione tra anima e corpo proprio perché consideriamo l’individuo nella sua completezza ed interezza. Abbiamo anche una certa propensione ad identificarci con il corpo ed il nostro aspetto materiale. Al massimo,  possiamo considerare l’anima sotto l’aspetto psicologico, cioè quella sfera non materiale ma sempre relativa alle nostre esperienze reali di vita, come ad esempio le memorie, le emozioni, e le fantasie.

Questa nostra visione ha alcuni vantaggi, nel senso che ci obbliga a vivere molto più pienamente la vita attuale, ci dà un aspetto pratico e pragmatico nell’affrontare le cose. Ci sono molti vantaggi nel vivere una vita considerandosi esseri unici, individui completi e realizzati sotto l’aspetto di questa vita terrena.

Ma per certi aspetti il concetto dell’immortalità dell’anima è dentro di noi, probabilmente è un archetipo che non siamo ancora riusciti a cancellare, e continua a rimanere presenti in un substrato profondo del nostro modo di porci verso la vita.  Noi non distinguiamo più la nostra parte materiale con quella spirituale, cui fa invece riferimento il concetto di immortalità, e spesso ci confondiamo e crediamo di essere immortali dal punto di vista materiale. E così l’uomo moderno non si prepara più alla morte, tende a rimuovere questo fatto ineluttabile dell’esistenza, semplicemente non ci pensa più. Ogni istante della vita presente è vissuto con così grande intensità, attraverso il lavoro, le relazioni, l’uso di alcuni strumenti, macchine ed oggetti, che semplicemente ci fa pensare che ogni istante sia illimitato, che ogni momento presente sia infinito. Questo è l’aspetto interessante di vivere con i propri sensi, di sperimentare sensualmente la realtà in cui viviamo, il corpo con cui stiamo convivendo in questa terra. Un altro aspetto invece è che questo non ci porta ad una vera e propria strategia esistenziale, ci fa trascurare gli effetti della nostra vita nel pianeta terra, ed anche gli effetti nel nostro corpo.

La morte la viviamo con grande disorientamento proprio perché non siamo preparati, perché abbiamo sempre pensato di essere immortali, abbiamo agito come esseri che non dovranno mai affrontare quel passaggio dalla vita alla non vita sulla terra.

Nei tempi antichi questo non succedeva, le persone erano preparate alla morte perché avevano inglobato nella loro vita quotidiana l’immortalità dell’anima e l’impermanenza del corpo. Erano consapevoli che c’è una netta distinzione tra l’esistenza terrena e quella eterna, conoscevano entrambe, e vivevano il passaggio tra le due esistenze in modo graduale e meno traumatico di quello che succede adesso.

Come possiamo fare per affrontare la morte con serenità? Credo che la cosa più semplice sia quella di fare come facevano i nostri antenati nella Classicità, cioè parlandone, elaborando ipotesi, esplorando con le nostre percezioni dirette i confini delle due realtà, cercando sempre nuove prospettive esistenziali. È necessario ricreare una cultura del momento di passaggio della nostra vita, portando la consapevolezza del vivere in chiave esistenziale, chiedendoci ogni giorno “chi siamo, da dove veniamo e dove stiamo andando”. In molte società tradizionali, ancora presenti sulla terra, la vita viene imperniata per quello che succederà nell’aldilà, ogni atto ogni respiro di questa vita viene vissuto in funzione, ad esempio, di quello che ci porteremo dietro in termini di consapevolezza al momento del passaggio. Se la nostra vita è stata piena di traumi vissuti e non risolti, se è stata piena di malinconia, di rimpianti, di emozioni gravi e pesanti, è probabile che tutto questo ce lo porteremo appresso. Se invece viviamo in maniera “libera”,  ma con impegno, pienezza e consapevolezza, è probabile che nell’aldilà ci porteremo dietro la nostra coscienza, senza i traumi ed i problemi irrisolti in questa vita.

La cosa certa è che non ci portiamo dietro i beni materiali, e per l’uomo moderno, non abituato a pensare a questo, il momento del passaggio potrebbe essere un trauma, una ulteriore sofferenza, oltre che una sofferenza per le persone vicine, parenti, famigliari ed amici.

La riscoperta di questi argomenti potrebbe portare a nuove visioni della vita, ad approfondire il proprio motivo per cui stiamo percorrendo questo cammino sulla terra, e potrebbe dare nuove prospettive, nuove ed ampie percezioni  della realtà, del mondo circostante, delle relazioni, creando nuove opportunità per tutti, in armonia e serenità, come è l’Universo in cui siamo.