di Nello Ceccon Copyright 2024
Le piante sacre possono aiutare ad aprire le proprie esperienze, non lo nego, la mia vita da adolescente si è imperniata su questo, ma non sono la soluzione definitiva ai propri problemi. Chi lo crede, chi si appoggia sistematicamente alle piante sacre compie lo stesso errore che hanno fatto i miei amici in adolescenza, non hanno creduto sufficientemente in loro stessi, e ne hanno pagato le conseguenze per il resto della vita.
Sembra un po’ strana questa posizione, in quanto molto spesso si associano le pratiche sciamaniche con l’utilizzo di piante sacre.
Come per il resto degli altri esseri viventi, lo sciamano si è sempre sentito connesso con il mondo vegetale, le piante, gli alberi, e certamente ha trovato alberi e piante a lui alleati. Piante che gli hanno dato poteri, aiuti, visioni, cambi di prospettiva, guarigioni e tante altre qualità utili per l’esistenza. L’uomo fin dall’antichità ha cercato nelle piante un sostegno e un aiuto, sia dal punto vista alimentare che da quello puramente spirituale.
Penso che si possano contare centinaia se non migliaia di piante che possono dare esperienze di cambiamento di percezione.
Ne elenco solo alcune, oltre quelle già menzionate prima, come la vite, la coca e l’oppio. Per facilità le suddivido per continenti (credito a https://samorini.it )
Africa
Culto Bori con utilizzo di una Datura metel L. (fam. Solanaceae)
Il Buiti, la “religione dell’iboga” Tabernanthe iboga Baill.
Il culto degli antenati Byeri: pianta psicoattiva Alan (plurale melan), identificata come Alchornea floribunda Müll-Arg. (Euphor-biaceae).
Il leba shay dell’Etiopia, la ricerca del ladro attraverso l’assunzione di una specie di datura
Il rito di iniziazione femminile fra i Tsonga del Mozambico con la Datura fastuosa L. (Datura metel var. fastuosa, fam. Solanaceae).
L’ordalia con la datura fra i Ba-Ronga del Sud Africa
Le droghe da combattimento fra i Masai della Tanzania, vedere tabella qui sotto
nome masai nome scientifico
ol getalasua Myrica kilimandscharica var. macrophylla Eng.; M. salicifolia A. Rich. [Myricaceae]
ol giloriti Acacia abyssinica Hochst; A. nilotica (L.) Del. [Leguminosae]
ol giremi Olinia Vokensii Gilg. [Olinaceae]; Euclea schimperi (A. DC.) Dandy
ol gitende Haemanthus sp. [Amaryllidaceae]; Acacia senegal (L.) Willd. [Leguminosae]
ol godjuk Prunus africana (Hood f.) Kalkm. [Rosaceae]
ol kajuk Pygeum africanum Hook f.
ol mokotan Albizia antheliminthica Brogn. [Leguminosae]
ol odoa Maesa lanceolata Forsk [Myrisinaceae]
ol onorua Maesa lanceolata Forsk [Myrisinaceae]
ol jorai Acacia seyal Del. [Leguminosae]
en gomani Aguaria salicifolia (Comm. ex Lam.) Hook f. ex Oliv.
Asia
Fungo allucinogeno Amanita muscaria (agarico muscario) nelle regioni siberiane
Uso tantrico della Cannabis in India
Australia e Oceania
Il Pituri australiano: droga psicoattiva derivata dal Duboisia hopwoodii F.v. Mueller, della famiglia delle Solanaceae
Il kava, la droga del Pacifico: bevanda inebriante ricavata dalle radici di un arbusto della famiglia delle Piperaceae, Piper methysticum Forst,
Americhe
Il Culto del Mescal:
Con il termine mescal sono state denominate tre differenti fonti inebrianti dell’America settentrionale:
1) il mescalbean (“fagiolo del mescal”) è una pianta e il seme di una pianta leguminosa, Sophora secundiflora;
2) il mescal è una bevanda alcolica ricavata da alcune specie del genere Agave;
3) con bottoni di mescal e in certi casi anche con mescalbean sono state chiamate le parti aeree essiccate del cactus del peyote, Lophophora williamsi.
L’uso di formiche psicoattive in California, ingerite vive nello stomaco, portano dopo alcuni giorni di permanenza nello stomaco a visioni molto forte, viene usato nelle iniziazioni.
Funghi psicoattivi
Semi Allucinogeni
Il pulque, derivato dalla fermentazione di un’Agave messicana, bevanda inebriante con poteri curativi.
Il balché delle popolazioni Maya
L’ayahuasca fra i Muinane della Colombia e tra gli Jivaro
Solanacee allucinogene :
Le Solanacee fra gli Aguaruna del Perù
Le Brugmansia fra i Mashco dell’Amazzonia
La datura fra i Mapuche del Sud America
Il culto della Jurema
Polveri da fiuto fra i Piaroa
Il Rapè
Lo yoco delle etnie della Tripla Frontiera
Epena e yãkoana fra gli Yanomamö
Il Sapo, derivato dalla secrezione di una particolare rana dell’amazzonia
L’uso tradizionale del cactus del San Pedro
Europa
Oppio
Stramonio
Giusquiamo
Funghi allucinogeni europei
I calderoni degli Unni
La Cannabis
Idromele
Vino
Birra
Tutte le bevande alcooliche
Caffè
Tè
Credo che si possa andare avanti all’infinito nel raccontare la simbiosi che l’uomo ha stabilito nel tempo con le varie piante.
L’enorme varietà di tipologia, di utilizzo, di cerimonie che vengono praticate tra le popolazioni indigene ci può far pensare che l’uso di piante sacre che alterano la coscienza sia necessario nello sciamanesimo.
Possiamo invece ragionare a ritroso: poiché c’è un’infinita varietà di piante, alberi, fiori, funghi, linfe, prodotti della fermentazione, insetti, organi di altri animali, sono davvero loro che danno potere all’essere umano, alla pratica sciamanica?
Probabilmente, se così fosse, ci sarebbe solo un tipo o pochi tipi di piante utilizzate a livello globale.
In realtà, mi piace condividere l’opinione finale di Carlos Castaneda riguardo l’utilizzo di sostanze psicoattive.
Carlos Castaneda è un autore divenuto famoso a fine degli anni sessanta per la pubblicazione del libro “Gli Insegnamenti di Don Juan” in cui descrive le sue esperienze di iniziazione con diverse sostanze psicoattive naturali: Il Cactus di Peyote, Erba Jimson (Stramonio) e il fungo messicano psilocybin.
Lui ha affermato che queste sostanze gli vennero date intorno agli anni cinquanta, poiché proveniva da una formazione prettamente razionale e materialistica. L’unico modo per fargli comprendere che esistono diverse “altre-realtà” fu quello di fargli sperimentare delle sostanze psicoattive. Successivamente, una volta sperimentata questa possibilità, per lui non è stato più necessario l’uso di tali sostanze. Lui affermava che per nessuno era necessario fare esperienze con sostanze psicotrope, quello che era necessario è volere aprire il proprio cuore, lui proponeva alcuni movimenti e respirazioni, chiamati Passi Magici, che portavano un profondo benessere ed ampliavano la percezione, al pari di qualunque sostanza psicotropa.
Carlos Castaneda è stato una guida molto importante per il mio percorso. Sebbene non l’abbia mai incontrato, lui è morto il 27 aprile 1998, ed il mio primo seminario di Tensegrità a cui ho partecipato con i suoi diretti apprendisti è stato il 23 maggio 1998, gli apprendisti cui aveva lasciato in eredità il suo enorme bagaglio di conoscenze attraverso Cleargreen, sono stati dei compagni di lavoro che mi hanno guidato per più di 14 anni.
Della stessa opinione Michael Harner, un altro antropologo, mio insegnante di sciamanesimo, che ha sperimentato le varie sostanze psicotrope, tra cui l’ ayahuasca tra gli Jivaro (ora chiamati Shuar) nella foresta amazzonica dell’Equador, negli anni 50. Dopo vari studi antropologici, lui ha insegnato antropologia nelle più rinomate università della costa Occidentale e Orientale degli Stati Uniti, è arrivato alla conclusione che sì, il raggiungimento di uno stato alterato di coscienza è necessario per le pratiche sciamaniche, ma che in definitiva la maggior parte degli sciamani, lui afferma il 90%, lo raggiunge utilizzando dei suoni o canti.
Molto erroneamente, a mio avviso, c’è una diffusa credenza che va e viene nel corso degli anni, in cui si identificano le pratiche sciamaniche all’uso di sostanze psicotrope.
E’ un errore molto grossolano e fuorviante, le pratiche sciamaniche nascono da un profondo addestramento personale, attraverso una opportuna disciplina e dall’insieme di esperienze che un individuo si porta nella vita.
Le sostanze psicoattive o psicotropiche semplicemente sono un mezzo che permette ad alcuni che necessitano una certa apertura ai mondi invisibili.
Ogni pianta, ogni essere vivente, ha la tendenza a moltiplicarsi, a permanere su questa terra. Per fare questo vengono utilizzati molti mezzi. La riproduzione è uno, ma se pensiamo alle piante, che non possono muoversi, come possono facilitare la loro riproduzione?
Uno dei modi è quello di attirare altri esseri viventi, che hanno le ali, le zampe o le gambe, per raccoglierle, trasportarle, conservarle, seminarle e concimarle. In pratica le piante usano le loro proprietà, come ad esempio il colore, la forma, i profumi e le sostanze nutritive, per moltiplicarsi, per riprodursi e per espandersi in altri territori o contesti.
In pratica, seppure inconsapevolmente, noi sottostiamo all’intelligenza di molte piante. Alcune le abbiamo abbastanza addomesticate in modo che i vantaggi che ci portano sono superiori agli svantaggi, come ad esempio le piante alimentari. Altre piante usano i poteri delle loro sostanze per creare ad esempio dipendenze, che portano l’animale o l’uomo a ricercarle, curarle e riprodurle. In pratica noi tutti siamo anche in balia dell’intelligenza di molte piante, sta in noi comprendere se stiamo agendo secondo il nostro benessere, o se stiamo agendo in funzione dell’interesse primario della pianta, oppure se siamo in una simbiosi equilibrata.
Quando si formano dipendenze, significa che noi diventiamo succubi dell’intelligenza della pianta che l’ha provocato. Gli svantaggi superano i vantaggi, non c’è più equilibrio.
Quando assumiamo sostanze che alterano la coscienza, utilizziamo il potere delle piante che la forniscono, non usiamo il nostro potere intrinseco.
Che cosa possono chiedere in cambio queste piante?
Molto spesso chiedono la dipendenza…
Ovviamente questa non è una condizione che necessariamente deve avvenire, perché se una pianta viene utilizzata con le dovute cure ed attenzioni, che una forte consapevolezza, possono semplicemente dare una bella esperienza che rimane per tutta la vita.
Se ci limitiamo a questo, credo che siano molto utili.
Se invece pensiamo di averne di bisogno per fare una bella esperienza, significa che non crediamo abbastanza in noi stessi, bensì crediamo molto di più a qualche cosa di esterno, ad una pianta, ma può anche essere un Guru, un Maestro, un Profeta, uno Sciamano,…
Questo è l’opposto dello spirito della pratica sciamanica.
Un altro aspetto interessante che vorrei evidenziare riguardo l’utilizzo di sostanze che alterano la coscienza, è l’uso degenerante che molte società indigene ne fanno.
Ritornando all’esperienza che riporta Michael Harner nel suo libro I Jivaro: il popolo delle cascate sacre, lui descrive la società degli Jivaro molto conflittuale, assolutamente non pacifica e tranquilla, ossessionata dagli spiriti, alcune volte benevoli, ma molto spesso maligni da cui è necessario difendersi.
Tra questo popolo ci sono due tipologie di sciamani: gli stregoni e i curatori. Entrambi fanno un pesante uso di allucinogeni, in quanto gli stregoni devono inviare dei propri spiriti alleati che sono come frecce, chiamati tsentsak al nemico, che di solito si trova nel villaggio vicino. Queste frecce magiche possono colpire l’altro individuo, in questo caso semplicemente si ammala, oppure lo possono attraversare, in questo caso l’individuo muore. Dall’altra parte c’è lo sciamano curatore, che sempre sotto l’effetto di questi potenti allucinogeni è in grado di “vedere” questi spiriti estranei ed in alcuni casi è in grado di estrarle, vanificando quindi l’effetto “magico” dell’avversario.
Questo popolo è quindi in continua guerra “magica” tra le varie fazioni, richiedendo per tale motivo questo uso diffuso delle sostanze psicoattive.
A mio avviso questa è un uso degenerativo delle pratiche magiche, non raccomandabile.
Lo stesso vale ad esempio per l’uso della vodka tra gli sciamani siberiani. Nello loro pratiche è molto diffuso, sembra quasi essenziale, l’utilizzo di questa sostanza alcoolica durante le cerimonie, per facilitare lo stato di trance. Peccato che la vodka sia stata introdotta dai russi solo alcuni secoli fa, ma le pratiche sciamaniche esistono in quell’area da millenni.
Uno dei miei studenti che ha iniziato il suo percorso sciamanico con una cerimonia di ayahuasca e che successivamente ha fatto un percorso di due anni con la scuola di sciamanesimo che conduco, ha sintetizzato molto bene la sua esperienza con questa frase:
“con l’ ayahuasca l’esperienza sciamanica proviene da una pianta, invece con il viaggio sciamanico, l’esperienza sciamanica proviene da dentro di te”.
Ricordo ancora che condivise questa frase dopo avere avuto una intensa esperienza psichedelica attraverso una cerimonia sciamanica in cui abbiamo utilizzato solo il suono del tamburo per entrare nello stato alterato di coscienza.
Non sono per principio contrario a queste esperienze, l’importante è sapere che possono prendere la mano e il cuore, senza accorgersene. Un mio amico sciamano che vive in Brasile, Carlos Sauer, un giorno ha condiviso la sua esperienza. Premetto che lui ha avuto esperienze molto intense con il Peyote in Arizona, e in Brasile, dove è nato ha uno stretto contatto con alcuni popoli che vivono in Amazzonia e che usano varie di queste erbe. Lui mi diceva che non promuove più esperienze di questo tipo nella sua città, Rio de Janeiro, perché è diventato piuttosto un passatempo che una esperienza sciamanica. Quando un gruppo di amici non sa cosa fare, si dicono “andiamo a fare la cerimonia dell’ ayahuasca”, e questo piano piano assume la dimensione di una dipendenza, diventa una necessità per riempiere il vuoto che è nell’anima, ma senza risolverlo, semplicemente diventa una soluzione temporanea.
Sappiamo che se c’è un vuoto nell’anima non risolto, questo vuoto può portare a dipendenze di vario tipo.
Insomma, a me sembra che molte delle mie esperienze vissute con le droghe negli anni settanta, ora si ripetano, in un contesto diverso, apparentemente più sacro, ma è sempre la stessa cosa: una dipendenza per riempiere il vuoto che non è ancora guarito”.
Questo non vuol dire, per essere chiaro, che per esempio ayahuasca o altre miscele di piante, non possano dare guarigione, anzi, credo che lo possano dare ma… quando il rito si ripete frequentemente, quando non si pensa ad altro se non alla prossima cerimonia, quando si crede di non poter stare bene senza quella pianta, quando si crede di poter essere migliori sono in quel mondo, allora dico che siamo ad un passo dalla dipendenza.
Può essere dipendenza fisiologica, farmacologica, oppure psicologica, non è importante, ma sempre dipendenza è.
Vorrei sintetizzare quanto scritto in questo lungo capitolo:
-certamente l’uso delle piante sacre o sostanze psicoattive, facilitano esperienze extra sensoriali
-per alcuni individui queste esperienze possono essere necessarie per poi procedere nella pratica sciamanica
-non è importante che avvengano in una sequenza specifica, personalmente le esperienze con le piante le ho fatte vent’anni prima delle mie esperienze sciamaniche
-per alcuni individui, non è proprio necessario assumere le sostanze di queste piante, hanno già una naturale capacità extrasensoriale
-ci sono alternative molto valide all’utilizzo delle piante psicoattive, come ad esempio il suono del tamburo o certi cani e danze ripetitive
-non bisogna quindi confondere la pratica sciamanica con l’utilizzo di piante psicoattive, sono due cose ben distinte.
-se una pianta vuole venire da me, e il mio cuore è d’accordo, allora le posso dare il permesso.