GUARIRE OLTRE LA COSCIENZA
In questo articolo, Carlo Zumstein, psicoterapeuta svizzero, discute la possibilità di integrare i metodi sciamanici nel trattamento convenzionale delle depressioni. Basandosi su di una lunga esperienza in entrambi i campi, Zumstein suggerisce dei modi per integrare le due discipline, rispettandone i distinti metodi e sfere di intervento. La sua interpretazione della depressione consente di vedere questa condizione non solo come una malattia psichica, ma anche come una malattia spirituale, che può essere alleviata e curata con il trattamento sciamanico.
L’approccio sciamanico di Zumstein si inserisce nell’ambito
della metodologia del “core shamanism” (sciamanismo transculturale), sviluppata
dall’antropologo americano Michael Harner, fondatore e direttore della
Foundation for Shamanic Studies (Mill Valley, California). Carlo Zumstein si è
formato attraverso i programmi di addestramento della Foundation, studiando per
molti anni con Michael Harner e Sandra Ingerman. Ha inoltre partecipato alle
tre spedizioni della Foundation a Tuva (Asia centrale), dove ha potuto fare
importanti esperienze nel campo dello sciamanismo asiatico-siberiano. Possiede
un certificato nel Counseling sciamanico, il metodo di consulenza sciamanica
sviluppato da Harner e descritto in questo articolo.
Carlo Zumstein è uno dei Faculty member (insegnanti
incaricati), che rappresentano la Foundation for Shamanic Studies in Europa, e
dirige la sezione svizzera e italiana della Foundation. Tiene seminari di base
e avanzati in Svizzera, Germania e Italia. E’ autore di tre libri: “Reise
hinter die Finsternis” (“Viaggio oltre l’oscurità”, Ariston, Monaco, 1999);
“Shamanismus: Begegnungen mit der Kraft” (“Sciamanismo: incontri con il
potere”, Hugendubel, Monaco, 2001); “Der Shamanische Weg des Traumens” (“La via
sciamanica del sognare”, Ariston, Monaco, 2003).
Questa traduzione è basata sul testo, riveduto e ampliato, di una conferenza presentata dall’autore al 1° Congresso del World Council for Psychotherapy, Vienna, 2 luglio 1996.
L’articolo è stato pubblicato sulla rivista Anthropos
& Iatria (Anno VII, Numero III, Luglio-Settembre 2003, pp. 72-83) e sul
sito web www.medicinealtre.it (Anthropos & Iatria VII, III).
I metodi impiegati attualmente nel trattamento della
depressione si basano su approcci che integrano i fattori biologici,
psicologici e sociali. I modelli psico-bio-sociali della depressione – per
esempio, quello proposto da Daniel Hell nel suo libro Welchen Sinn macht
Depression (1994) – prendono in considerazione soltanto le dimensioni
esperienziali e comportamentali della coscienza ordinaria e dello stato di
veglia cosciente e la realtà ordinaria associata con quello stato di coscienza.
Ma le depressioni – come pure le psicosi – sono caratterizzate da una fuga
dalla realtà ordinaria.
Nel lavoro psicoterapeutico con persone depresse, si
è dimostrato utile e significativo cercare risposte a domande come:
Dove si ritraggono le
persone depresse?
In che tipo di realtà
cercano rifugio?
Domande come queste sono spesso poste in contesti
che implicano un pregiudizio. La fuga dalla realtà ordinaria è normalmente
svalutata come una fuga in un mondo privato di sogni o fantasia. Il tentativo
di fuga è interpretato come un sintomo addizionale della malattia.
In questa conferenza, mi propongo di dimostrare come
sia possibile disporre di una gamma più ampia di opzioni nel trattamento delle
persone depresse, quando è consentito alla mente di regredire a uno stato
arcaico di coscienza e realtà. Questa regressione della coscienza può essere
raggiunta per mezzo dei metodi terapeutici sciamanici.
Lo sciamanismo è nato migliaia di anni fa durante lo
stadio magico dell’evoluzione della coscienza umana. La parola “magico” non è
usata qui nel senso di infantile o primitivo, ma per riferirsi all’unità
primordiale – nel linguaggio odierno, “spirituale” – con i poteri
dell’universo.
La coscienza umana si è evoluta attraverso una lunga
storia di sviluppo ed è quindi possibile per
essa regredire a stadi evolutivi precedenti. Considerare la depressione
in questa dimensione aiuterà ad espandere la nostra comprensione dei disordini
depressivi.
Non si sostiene che la regressione della coscienza
sia la causa dei disordini depressivi. La supposizione che tale regressione sia
avvenuta rappresenta un’ipotesi proficua e pratica, che si è dimostrata
estremamente utile in un certo numero di casi.
Un cambiamento nella coscienza produce sempre un
cambiamento nella realtà. Per esempio, con l’evoluzione della visione
prospettica, la realtà nel suo insieme ha cominciato ad essere percepita in
modo spaziale. Nella psicologia contemporanea, l’anima stessa è paragonata a
uno spazio interiore, seppur immaginario. L’apparato psichico è un costrutto;
sia il superconscio che il subconscio sono sfere spaziali.
La coscienza e la realtà formano un’unità basata, in
definitiva, sul mondo stesso. Tutto ciò che esiste ha – o meglio è –
coscienza. La realtà è coscienza del mondo come questo appare agli esseri umani
nella loro consapevolezza. Per tale motivo, in questa discussione, si
preferisce utilizzare l’espressione “coscienza-realtà”.
La storia evolutiva dell’intera razza umana è
riflessa nell’evoluzione dell’individuo e questo vale anche per la coscienza.
Anche in questo caso, l’ontogenesi riflette la filogenesi.
Nella sua opera Gesaumtausgabe, Jean Gebser
distingue cinque stadi di sviluppo nell’evoluzione della coscienza (vol. II-IV, Novalis Publishers, Schaffhausen, 1978; 1° ed. 1949, 1953).
La coscienza arcaica
Lo stato arcaico di coscienza corrisponde al senso
di completa sicurezza e protezione, che il bimbo non ancora nato sperimenta nel
grembo materno. Equivale essenzialmente al vivere “..nello stato paradisiaco,
in quanto la persona è ancora totalmente circondata, indivisa e indifferenziata
dal cosmo, dall’universo…” (Gebser, 1978, pag. 15), che, per il bambino, è
rappresentato dalla madre.
Nella sua identità con il cosmo, l’essere umano dei
tempi preistorici non ha né coscienza riflessa né sogni notturni. E’ ancora
totalmente indiviso e perciò non ha bisogno di rappresentazioni interiori di sé
e del mondo. Se confrontassimo le loro menti con lo stato di coscienza attuale,
ci sembrerebbe che l’uomo arcaico sia vissuto in uno stato crepuscolare e
sonnolento e non fosse ancora completamente sveglio. Questo è probabilmente lo
stato arcaico di identità con il tutto – un’unione che continuiamo a desiderare
per tutta la vita.
Simultaneamente al suo arrivo nel mondo esterno, il
neonato ottiene anche il suo posto nel mondo. Il suo stato di identità con la
totalità arcaica è interrotto. Il bambino è immediatamente messo di fronte al
compito di far conoscere i propri bisogni vitali e deve darsi da fare affinché
questi siano soddisfatti. Il soddisfacimento dei bisogni vitali è assicurato,
quasi per magia, dall’ambiente del bambino, di solito attraverso le cure
prestate dalla madre. Egli non ha nemmeno bisogno di essere completamente
sveglio.
Il lattante è ancora totalmente un corpo, sul corpo
della madre, in uno stato di unità, ma non di identità con essa. E’ come se
l’infante fosse ancora radicato in lei, percependo dalle profondità del suo
corpo, ricevendo calore, amore e conforto, ma anche ascoltando. Nella sua
capacità di ascoltare, egli appartiene ancora interamente alla madre. La
capacità di vedere è subordinata. Il bambino passa la maggior parte del tempo
dormendo. Raramente è attivo consciamente, semplicemente indulge nella gioia
del movimento. Piuttosto che pensare, semplicemente guarda con stupore;
piuttosto che parlare, si concede di balbettare. E’ senza tempo e senza spazio,
totalmente presente nell’attimo corrente in cui ogni cosa è, o può essere,
evocata semplicemente desiderandola, grazie all’onnipresenza della madre.
Questo è lo stato della sicurezza magica, del benessere totale e della piena
appartenenza al mondo.
“Magico” non è qui sinonimo di “miracoloso”. Anche
per l’individuo preistorico, il “magico” rappresenta una relazione con i poteri
del mondo e questa relazione è determinata dall’immediatezza e dalla
corporeità. I bisogni basilari del corpo e il loro soddisfacimento occupano il
punto focale della sua coscienza e della sua realtà. Tuttavia, egli deve aver
già avuto la consapevolezza del suo essere distinto dal mondo – non più avvolto
nell’abbraccio protettivo del mondo, ma inserito e parte di esso.
Si può attribuire lo stato di coscienza dei cacciatori
e raccoglitori del Paleolitico alla coscienza magica. Il mondo dava loro ciò di
cui avevano bisogno, o essi semplicemente prendevano ciò di cui avevano
bisogno. Vivevano in unione con il mondo e con il clan. Vivendo in stretto
contatto con la Madre Terra, impararono a mettere i suoi poteri al loro
servizio. Per farlo, non avevano bisogno di essere svegli o consapevoli nel
senso moderno di queste parole, né avevano ancora bisogno di pensare in modo
logico. Vivevano in uno stato di connessione materiale e corporea con
l’ambiente immediato. Questo era ancora uno stato antecedente all’io per
entrare in relazione con il mondo. L’uomo primitivo poteva collocare i suoi
orecchi sulla Terra, ascoltarla ed essere connesso con i suoi poteri.
L’epoca della coscienza magica è stata l’era in cui
è sorto lo sciamanismo. Si potrebbe dire che nella sua ricerca di fertilità,
protezione e poteri di guarigione per mezzo dell’unione con la terra, l’uomo
del Paleolitico è regredito allo stato precedente di identità arcaica, ma non
più nel senso di un dissolversi nel tutto. Dotato di una coscienza rudimentale
della propria identità, egli scelse di fondersi con un potere specifico,
generalmente con lo spirito di un animale, ma a volte anche con un elemento –
acqua, fuoco, ecc. – o con gli spiriti ancestrali.
La regressione sciamanica non è una ricaduta
nell’unità arcaica del tutto. E’ invece l’unione, cercata consapevolmente, con
particolari esseri di potere per scopi e occasioni particolari, per esempio,
durante i rituali di caccia e di guarigione. In termini moderni, si potrebbe
descrivere questa regressione come una trasformazione dello stato arcaico di
coscienza. Sebbene sia un ritorno a uno stadio precedente di sviluppo, la
regressione avviene deliberatamente e da un punto di maggior vantaggio.
L’essere umano si risveglia dall’assopimento magico,
diventa consapevole di se stesso e del mondo e si rende conto che è separato da
quel mondo in un mondo solo suo. Ha scoperto la propria anima personale. Ora
può sperimentare l’io e il tu, il soggetto e l’oggetto sia come polarità
complementari, che come opposti inconciliabili. Gebser descrive questo processo
come un “risvegliarsi alla polarità” e ammonisce che questa consapevolezza può
intensificarsi fino a diventare conflitto. Ancora legato integralmente alla
famiglia, il bambino scopre sia il proprio ego sia i conflitti inerenti nelle
lotte contraddittorie della propria anima.
Questa è la genesi dell’essere umano psicologico,
che è dotato di specifici affetti ed emozioni, con una relazione unica con se
stesso, con gli altri e con il mondo. L’essere umano possiede ora un’anima
individuale interiorizzata. E’ diventato oggetto della propria percezione.
Mentre continua a evolvere, il suo mondo interiore diventa il campo di un gioco
energetico, sempre più finemente differenziato, di istinti, affetti, emozioni e
bisogni. E’ stato questo che ha portato Freud a formulare il concetto
dell’apparato psichico e a sviluppare le sue idee sulle psicodinamiche.
Poiché è stato separato dall’unione con il mondo,
l’essere umano deve iniziare a pensare, spiegare, descrivere e documentare.
Deve inoltre cominciare a sognare, in quanto ora ha un proprio mondo interiore
in cui ritirarsi durante il sonno. Egli spiega il mondo a se stesso,
descrivendo la sua relazione con il mondo e il suo posto in esso nella forma di
miti, fiabe ed epiche. Sviluppa cosmologie e fonda religioni. Attribuisce i
poteri che operano nel mondo a figure mitologiche o a divinità immateriali.
L’essere umano mentale-razionale è l’uomo odierno
modellato da una società altamente meccanizzata, che lo allontana ancora di più
dal fondamento primordiale dell’essere. I poteri del mondo sono spiegati nei
termini delle scienze naturali. I loro effetti sono riproducibili e possono
essere sfruttati a scopi industriali. La consapevolezza di sé rischia di
degenerare in isolamento egocentrico.
Molte persone stanno cercando i modi per ritornare
alle loro radici, studiando gli insegnamenti antichi per ritrovare le
conoscenze perdute, cercando di accedere alla coscienza arcaica, magica e
mitica.
Questa divisione, piuttosto grossolana, della storia
umana in “mutazioni epocali della coscienza” può aiutarci a capire meglio certi
fenomeni della coscienza come il sonno, i sogni, l’estasi, gli attacchi di
panico, le reazioni di shock, l’irrompere degli affetti primari, ma anche le
malattie mentali come la depressione. Tutti questi fenomeni possono essere interpretati
come delle regressioni a modalità precedenti della coscienza. (Per quanto ne
sappia, non è ancora stata fatta alcuna ricerca per esplorare le possibili
relazioni tra le malattie mentali e l’evoluzione della coscienza.)
Il sonno può essere interpretato come un ritorno
notturno allo stato arcaico di coscienza. La persona che dorme rimane
sufficientemente consapevole da poter essere svegliata. Perfino senza
svegliarsi, chi dorme è in grado di soddisfare i bisogni corporei, per esempio,
per cambiare posizione.
Anche i sogni possono essere visti come una
regressione della coscienza. Un’attività interna dei sensi ha luogo durante lo
stato di coscienza regredita, ottenuto attraverso la deprivazione sensoriale.
Semmai diventiamo consapevoli di questo stato, normalmente lo diventiamo solo
dopo esserci svegliati dai nostri sogni.
Il sognare è legato alla nostra abilità interna di
formare rappresentazioni di noi stessi e della nostra realtà. Ciò significa
che, nei termini della storia evolutiva, i sogni risalgono a un’epoca in cui
l’essere umano si è già distanziato dalla precedente identità con il mondo. Ha
sviluppato uno spazio interiore personale e ha iniziato a sperimentare se
stesso in un rapporto di polarità – forse perfino di opposizione – con il mondo
esterno.
Il sognare implica il diventare consapevoli delle
azioni di poteri ed entità interne. E’ la continuazione di esperienze interne
ed esperienze esterne, legate allo stato di veglia, entro lo spazio interiore
dell’individuo. E’ indipendente dal tempo, dallo spazio e dalla logica
razionale.
Mentre sogniamo, possiamo ritornare a uno stato
arcaico di coscienza e ottenere intuizioni circa le connessioni ed
interrelazioni cosmiche. Probabilmente, C.G. Jung descriverebbe le esperienze
oniriche di questo tipo come sogni archetipi. Fondamentalmente, comunque, i
sogni sono implicati nelle dinamiche della nostra vita interiore personale.
Sono convinto che almeno una regressione parziale
abbia luogo negli stati di depressione clinica e che questa regressione ci riporti
allo stato arcaico di coscienza. Tuttavia, diversamente dal sonno e dai sogni
(dai cui lacci normalmente ci liberiamo al risveglio), la depressione acuta è
una prigione dalla quale l’individuo è raramente capace di liberarsi senza un
aiuto esterno.
La depressione può essere vista come una
dissociazione della coscienza, combinata con la regressione a uno stato arcaico
di coscienza. E’ come se la coscienza si fosse scissa in due parti. Una parte
della personalità rimane consapevole dell’io e fissata sul conflitto
dell’anima. Questo dilemma insorge quando l’anima pone richieste e aspettative
troppo alte per la persona, che si sente ancora totalmente incapace di
soddisfarle.
Allo stesso tempo, un’altra parte della personalità
è regredita a uno stato arcaico e crepuscolare. All’osservatore esterno questo
appare come il lato intorpidito, storpiato e depresso della persona, che si è
allontanata dalla vita e dalla vitalità.
Le persone depresse sono anche dissociate dalla loro
paura. Questa non è più percepita come uno stimolo interno di auto-protezione,
ma è invece sperimentata come un potere esterno mortale, la cui potenza
primordiale e terrificante schiaccia l’individuo.
Sebbene la paura giochi un ruolo essenziale nella
depressione, è più il risultato, che non la causa della perdita di realtà, di
cui soffre la persona depressa.
Dal punto di vista della psicopatologia
tradizionale, in cui i disordini delle funzioni psicofisiche sono definiti
sulla base della coscienza nello stato di veglia, la perdita di motivazione è
il sintomo centrale della depressione. Il blocco delle funzioni e abilità
vitali centrali è associato a questa perdita, assieme alla rottura dei legami
tra impulsi e inibizioni. Siamo ancora impotenti quando cerchiamo di affrontare
le cause di questa perdita dell’energia vitale.
Le funzioni vitali essenziali, come le funzioni motorie, l’appetito, la digestione, gli affetti, le emozioni e la libido sono bloccate. Eppure, allo stesso tempo, le persone depresse sono tormentate da sentimenti di inquietudine che, nonostante la profonda stanchezza, non permettono loro di addormentarsi. Sperimentano una totale assenza di pensieri, oppure soffrono di un interminabile circolo vizioso di pensieri tormentosi di auto-accusa e auto-denigrazione, di sentimenti di inutilità e di colpa e la certezza della propria impotenza. L’unica via di scampo da questo tormento sembra essere il suicidio. Sono dominati dalla paura della povertà e da paure primarie di tutti i tipi.
E’ un fatto ben noto che le persone depresse reagiscono al loro ambiente soltanto in misura ridotta, che a volte si ritraggono completamente, non escono dal letto e trascurano il loro aspetto esteriore. Nessun stimolo esterno è in grado di attivarli: sono indifferenti, apatici, assenti. Sperimentano le sfide della vita quotidiana come un peso enorme e insopportabile. Le cose di tutti i giorni perdono qualsiasi significato, in quanto l’individuo ha perso ogni legame con quelle sfide.
“Non sono più qui….gli altri sono lontani da me….non ho più alcun legame con i miei beni, hanno perso ogni significato per me….ogni cosa è semplicemente troppo per me….non riesco più a sentire me stesso….il tempo non passa mai….non posso prendere alcuna decisione….non riesco nemmeno a fare le cose più semplici….far la spesa è diventato impossibile….non so più cucinare….non valgo niente….fallimenti ovunque….sono un peso per tutti….”
Le persone depresse tendono anche ad avere l’effetto di intorpidire e smorzare l’ambiente circostante. Questo senso di spegnimento suscita spesso delle reazioni di rifiuto e disagio, e perfino minacce, da parte della famiglia e degli amici. L’agitazione e l’iperattività sono reazioni frequenti, come lo sono i consigli del tutto inutili come “Devi solo volerlo”, “Puoi tirarti su da solo”, “Non darti per vinto” o “Non prendertela”. Intorpidimento e ottundimento da parte dell’individuo depresso suscitano reazioni opposte di agitazione e attività febbrile da parte della famiglia e degli amici.